Guillermo Mariotto e la ricerca della fusione tra tradizione e modernità
Guillermo Mariotto, direttore creativo della griffe Gattinoni, racconta in questa intervista le differenze tra la moda italiana e straniera. E spiega in cosa consiste la sua ricerca di una fusione tra tradizione e modernità.
Lei vive in Italia da molti anni. C’è qualcosa delle sue origini e della cultura venezuelana che trasporta nel suo lavoro, che influisce in qualche modo la sua creatività?
«Involontariamente sì, coscientemente no. Nel senso che sono arrivato in Italia molto giovane, quindi la mia formazione artistica è avvenuta in Italia. Inconsapevolmente mi porto dietro la natura del mio Paese, le condizioni climatiche, i colori anche se non ho mai amato cimentarmi nella moda esotica e folkloristica».
La sua formazione è iniziata al California College of Arts and Craft di San Francisco e in seguito ha avuto modo di viaggiare moltissimo per l’Europa. Come viene vissuta l’alta moda negli Stati Uniti rispetto all’Italia o alla Francia? Secondo lei quali sono gli elementi che maggiormente distinguono l’approccio anche semplicemente al vestirsi in America e in Europa?
«Per il mio lavoro viaggio sia negli Stati Uniti che in Europa, ma soprattutto in Medio Oriente. Le donne americane approcciano alla couture soltanto per occasioni istituzionali o per grandi eventi e seguono pedissequamente i dictat dello stilista. In Europa, al contrario, patria della couture, tutto si trasforma in un braccio di ferro tra designer e cliente. In Medio Oriente, invece, a volte mi diverto molto, perché l’ideazione e la creazione di un abito diventa quasi una seduta psicoanalitica. Incontro soprattutto giovanissime donne arabe che si esprimono anche attraverso l’arte di indossare un bellissimo abito d’alta moda».
Quanto si stanno uniformando le due culture? Quanto si percepisce la globalizzazione in questo settore?
«La globalizzazione tende ad appiattire un po’ tutto e a uniformare le culture, è inevitabile. Io combatto l’appiattimento anche attraverso abiti unici e irripetibili, perché racchiudono una storia unica e irripetibile».
Leggevo che il suo know-how consiste in una fusione tra design e antica tradizione sartoriale, tecnologia e moda: mi può fare qualche esempio di come può avvenire concretamente questa fusione in un abito?
«Ho la presunzione di pensare che ogni abito d’alta moda, sia la fusione perfetta tra arte e cultura. Non mi sarebbe possibile esercitare questa professione se non fossi costantemente attratto e contaminato dall’arte. Ad esempio, sono un appassionato di arte contemporanea. Tra i miei artisti preferiti ci sono Jean Michel Basquiat e Maurizio Cattelan».
Apro una parentesi ed esco per un momento dal mondo della moda. Sono appassionata di ballo e seguo da anni la trasmissione televisiva Ballando con le Stelle, dove lei ha il ruolo di giurato. Quella commistione che ricerca sempre nel suo lavoro, forse la cerca un po’ anche nella veste di giudice di ballo?
«Sì, sin dalla prima edizione mi diverto a indossare le vesti di giurato a Ballando con le Stelle, un programma televisivo che riesce a riunire milioni di persone. Per fare un esempio, in passato ho molto apprezzato Fabio Basile, perché rappresenta in pieno la giovane creatività contemporanea. Sono sempre me stesso, in qualunque occasione e quindi anche quando divento un temuto giudice di ballo».
C’è una giovane stilista, Sara Giunti di L’ED Emotion Design che ha creato una linea di borse al contempo raffinate e tecnologiche. Aprendole si accende una luce al LED al loro interno, hanno una carica batterie incorporato. Secondo lei non c’è il rischio che, introducendo questi nuovi accessori nel mercato dell’alta moda, ci rimetta l’eleganza? Un tempo si pensava che una borsa dovesse essere minuscola per essere chic…
«No, non credo che la tecnologia possa distruggere l’eleganza, anzi al contrario è utile per il settore moda e lusso, che devono essere obbligatoriamente al passo con i tempi».
Stefano Dominella nel 2015, presso il Museo dei Mercati di Traiano a Roma ha ideato e curato l’evento “L’eleganza del cibo. Tales about food and fashion”. In quella occasione sono stati messi in evidenza molti parallelismi tra i due aspetti del made in Italy più apprezzati e conosciuti al mondo: la moda e il cibo. Con il brand Gattinoni a dove siete partiti per realizzare il vostro “bread dress” con bustier scolpito con vere spighe di grano?
«Dominella mi ha chiesto di realizzare un capo ad hoc e per questo ho deciso di partire dalla base dell’alimentazione, cioè, il grano. Ho utilizzato materiali come la iuta e la canapa, con i quali sono stati realizzati pantaloni, ricamanti con migliaia di micro biscotti. Il bustier, che completava l’outfit era realizzato, invece, con vere spighe di grano. La mia creazione è stata molto apprezzata, riscuotendo ampi consensi in tutto il mondo ed è apparsa sulle più importanti testate giornalistiche di moda e legate al food».
Candy Valentino