La moda etica, forma espressiva del vivere sociale
Conferire un nuovo valore, concreto e simbolico, al vestire e cercare nuove strade per produzioni che, pur tenendo conto dell’estetica, dello stile e delle tendenze, non lascino in secondo piano le qualità etiche: si potrebbe riassumere così, il significato di “moda etica”. Si tratta, quindi, per chi produce e consuma, di scegliere abiti e accessori in base alla capacità che hanno di valorizzare la manualità, la creatività e l’auto-produzione, realizzati con materiali ecologici o da riciclo, ricorrendo a metodi di lavorazione tradizionale, sempre nel rispetto dei diritti e delle condizioni di lavoro della manodopera impiegata.
Qualche anno fa, in occasione della prima edizione del Fair and Ethical Fashion Show di Milano, il salone internazionale della moda equa, etica e sostenibile, fu presentato il rivoluzionario e innovativo film documentario “The True Cost” di Andrew Morgan. Questo sollevò molti dibattiti riguardo l’impatto che ha l’industria della moda sull’uomo e sull’ambiente. «Chi paga realmente il prezzo dei nostri vestiti?» era la domanda centrale del lavoro.
Il dibattito nato dai tempi di “The True Cost” di Andrew Morgan
Marina Spadafora, direttrice creativa di Auteurs du Monde, linea di moda etica di Altromercato, occupandosi di coordinare l’anteprima italiana del film, aveva sottolineato come la proiezione sarebbe stata l’occasione per stimolare i consumatori a porsi la domanda “chi ha fatto i miei vestiti?”. Il messaggio che si voleva veicolare è che esistono delle valide alternative ogni volta che si sceglie cosa acquistare.
Girato in svariate nazioni, passando dalla realtà abbagliante delle passerelle a quella delle periferie disagiate, “The True Cost” racconta efficacemente le storie delle persone che producono abiti, mostra le interviste di alcuni tra i massimi esponenti in questo ambito – Stella MacCartney, Vandana Shiva e Livia Firth – e riepiloga come, con l’incremento sbalorditivo del consumo di abbigliamento negli ultimi vent’anni e la tendenza al “fast fashion” da parte di marchi globali, si sia arrivati alla situazione attuale, proponendo però anche soluzioni, per creare un futuro migliore e più sostenibile.
Il Fair and Ethical Fashion Show
Le aziende che partecipano al Fair and Ethical Fashion Show, oltre trenta di marchi espositori di capi, accessori e tessuti totalmente “green”, provenienti da 12 Paesi, forniscono una chiara spiegazione delle modalità applicate nella pratica giornaliera del proprio lavoro, con particolare attenzione alla trasparenza della filiera produttiva e portano la testimonianza di come un piccolo impegno, adottato sistematicamente e a lungo termine, permetta di influire positivamente su tutto il sistema moda e sul settore della manifattura tessile mondiale.
Così, per citare alcuni esempi, negli anni passati la tedesca Lebenskleidung ha presentato dei capi confezionati con bio-tessuti, l’azienda bergamasca Par.Co Denim, invece, i jeans biodegradabili, mentre Womsh ha portato da Padova le sue Sneakers a impatto zero.
I principi di chi fa moda etica
Chi fa moda etica, ricorre alla manodopera nei paesi del terzo mondo solo con lo scopo di promuovere lo sviluppo di comunità del posto e investe a medio e lungo termine. Un esempio il progetto Royah, fondato nel 2005 dall’italiana Gabriella Ghidoni, con l’obiettivo di dare autonomia lavorativa alle donne afghane. Oppure il brand francese Antik Batik, disegnato dall’italiana Gabriella Cortese.
In Italia, in molti casi, è dalle carceri che arrivano produzioni di abiti ed accessori, anche di alto livello, realizzati secondo questi criteri, con lo scopo di riabilitare i detenuti.
L’elenco delle iniziative in questo campo è lungo: negli Stati Uniti, il brand American Apparel, oltre a contrastare lo sfruttamento della manodopera nei paesi più poveri, ha ideato un metodo di recupero del tessuto in eccesso. Vivienne Westwood è responsabile dell’organizzazione dell’Ethical fashion Africa Programme e Stella McCartney propone scarpe con tacco e plateau biodegradabili, mentre l’azienda svizzera Freitag ricicla teloni dismessi dei camion, copertoni delle biciclette e cinture di sicurezza delle auto, per realizzare borse e accessori. Tra i pionieri in Europa c’è l’azienda olandese Kuyichi, che produce streetwear e denim di soia, cotone organico, lino, canapa e bambù.
Il fast fashion si avvicina ai principi della moda etica
Anche i colossi di fama internazionale del fast fashion hanno lanciato, ultimamente, delle collezioni di moda biologiche, come l’Eco Warning di Zara e la Conscious Collection di H&M. Tra le aziende italiane, LifeGate ha avuto successo con i suoi jeans in cotone no OGM e Katharine Hamnett ha firmato in esclusiva per la Coop una linea d’abbigliamento in cotone organico. Il marchio Carmina Campus, avviato nel 2006 da Ilaria Venturini Fendi, crea accessori e borse in pezzi unici con materiali di riuso.
Gli eventi dedicati alla moda etica nel mondo
Il primo evento dedicato alla moda etica fu organizzato a Portland nel 2003 e da allora si sono susseguiti:
- l’Ethical Fashion Show di Parigi,
- l’Estethica di Londra,
- la Vancouver Eco Fashion Week,
- la milanese So Critical So Fashion,
- i Green Shows di New York.
Si è dato vita al cosiddetto “settore dei consumi critici”, che cresce anno dopo anno. Il progetto Ethical Fashion coinvolge Alta Roma, International trade center, l’Organizzazione mondiale del commercio e l’agenzia operativa di cooperazione di UNCTAD – United Nations Conference on Trade and Development, nella realizzazione di una moda responsabile, capace di dare un futuro alle popolazioni dell’Africa subsahariana.
Studiare la moda etica nelle accademie di settore
Di pari passo con l’incremento della sensibilità in tal senso, sono nati molteplici percorsi formativi per gli studenti di moda. La Parsons The New School For Design di New York ha ideato il primo corso di zero-waste fashion; il London College of Fashion ha istituito nel 2007 un centro per la moda sostenibile; il Chelsea College of Arts si dedica allo studio e alla valorizzazione dei tessuti ecologici. Presso la Fondazione Gianfranco Ferrè si è svolto, tra l’altro, il primo Out of Fashion: 6 master class tenute da docenti internazionali, designer, economisti ed esperti di comunicazione.
Candy Valentino